Pubblicato il 26 Maggio 2025

Burnout lavorativo: un fenomeno in crescita

Un dipendente italiano su 3 (il 31,8%) soffre di qualche forma di stress o burn-out lavorativo, lamentando sensazioni di esaurimento, estraneità o negatività: lo dice l'8° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, sottolineando come questo stato di forte disagio emotivo, fisico e mentale riguardi il 47,7% dei giovani, il 28,2% degli adulti, e il 23,0% dei dipendenti tra Gen X e Baby Boomers ancora attivi. Un malessere che ha diverse cause e che può avere conseguenze negative sulla vita extra-lavorativa, dato che il 36.1% degli intervistati ha dichiarato di non essere in grado di lasciare i problemi lavorativi fuori dalla porta di casa, la cosiddetta “osmosi” tra vita privata e lavoro.

Il benessere come priorità e i sintomi del burnout lavorativo

Sono numeri allarmanti, ancor più se si considera che già la pandemia da Covid 19, secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), ha causato un aumento delle segnalazioni degli stati di ansia, stress e depressione del 25%, e ha rappresentato uno spartiacque nella percezione del benessere generato dal lavoro: oggi infatti, sempre secondo il Rapporto Censis-Eudaimon, ben l'83,4% dei lavoratori dipendenti italiani considera prioritario che il lavoro contribuisca anche al benessere fisico, mentale e psicologico delle persone.

Il 63,5% dei lavoratori è inoltre convinto che l’azienda in cui lavora potrebbe fare molto per migliorare il proprio benessere; ciò è un ulteriore sprone al generale orientamento di molte aziende verso il welfare, sul quale, tuttavia, i lavoratori vorrebbero essere più informati, se è vero che un’ampia percentuale (41,8 %) auspica l’introduzione di un consulente specifico a cui rivolgersi per suggerimenti, indicazioni su sanità, assistenza a familiari non-autosufficienti e previdenza.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) il burnout lavorativo non va considerata come una patologia vera e propria, ma piuttosto come una sindrome, cioè un insieme di sintomi relativi alla sfera fisica, emozionale e mentale causati dalla percezione di essere sottoposti ad un carico eccessivo e prolungato nel tempo; stanchezza cronica, mancanza di energia, demotivazione, frustrazione, irritabilità, umore instabile, difficoltà di concentrazione, ricorso a droghe ed alcool per far fronte alla situazione, rappresentano sicuramente dei campanelli d’allarme, che vanno tenuti nella giusta considerazione, dato che il burnout lavorativo è un fattore di rischio per ansia, insonnia e depressione.

Il meccanismo dello stress

Il burnout lavorativo è diverso dallo stress; quest’ultimo infatti è transitorio, mentre il burn out è progressivo e tende a peggiorare nel tempo, se non si riesce a spezzare un anello della catena.

Lo stress è un meccanismo del tutto fisiologico, che mette in moto azioni adattative aspecifiche. Il sistema nervoso simpatico stimola le ghiandole surrenali a produrre le catecolamine, che a loro volta inducono l'aumento del battito cardiaco, della pressione arteriosa e della frequenza respiratoria, reazioni che consentono l’"attacco e fuga".

Si attiva anche l’ipotalamo, che stimola l'ipofisi a rilasciare ACTH, un ormone che a sua volta induce la corteccia surrenalica a produrre cortisolo, la cui principale funzione è quella di intervenire su vari sistemi per conservare l’energia destinata all’attacco e fuga, deprimendo i sistemi “energivori”, come, ad esempio, quello immunitario.

Quando la situazione stressogena scompare, l'organismo dovrebbe interrompere queste risposte ritornando all’omeostasi. Tuttavia, se il meccanismo di reazione non trova modo di disattivarsi (stress cronico), si possono avere ripercussioni negative sui sistemi nervoso, endocrino e immunitario, che, come abbiamo visto, sono strettamente interconnessi.

Cosa fare per diminuire lo stress cronico? Oltre alle politiche di sostegno attraverso il welfare aziendale e all’impegno di creare ambienti di lavoro più accoglienti e gratificanti, molto dipende dalle scelte individuali: stili di vita equilibrati e sani possono senz’altro essere d’aiuto, così come l’impiego di botanicals.

L’aiuto delle piante officinali

Da secoli l’uomo ricorre alla natura per ritrovare l’equilibrio psico-fisico: piante come passiflora, lavanda, melissa, camomilla o escolzia vantano un lunghissimo uso tradizionale per favorire il rilassamento, conciliare il sonno, ristabilire il normale tono dell’umore e il benessere mentale.

Anche le piante adattogene - come il ginseng, l’ashwagandha o la maca - sono noti da secoli per aiutare l’organismo ad adattarsi e reagire a condizioni di stress psicofisico.

Le proprietà anti-stress della Scutellaria lateriflora

Un rimedio naturale meno noto è invece la Scutellaria lateriflora, un’erba perenne originaria del Nord America, tradizionalmente usata per favorire il rilassamento e il sonno.

Uno studio pubblicato a gennaio 2024 sulla rivista scientifica Molecules ha contribuito a porre le basi scientifiche di questo utilizzo, dimostrando come un estratto di Scutellaria lateriflora L. caratterizzato chimicamente (BlueCALM®) svolga un’azione inibitoria significativa sul rilascio di cortisolo in un modello in vitro.

Alla luce di questi risultati, BlueCalm® è stato testato come ingrediente nutraceutico in uno studio clinico recentemente pubblicato, il cui obiettivo primario era di valutare l’efficacia dell’integratore alimentare nel mantenimento di un corretto equilibrio sonno-veglia (qualità del sonno) e, come obiettivo secondario, l’efficacia del sonno, attraverso la compilazione di questionari validati, riconosciuti internazionalmente, e di un diario del sonno. I risultati hanno dimostrato un miglioramento statisticamente significativo rispetto alla linea di base in tutti i volontari trattati.

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E quelle della Griffonia simplicifolia (DC.) Baill.

Anche la Griffonia simplicifolia (DC.) Baill. è in grado di supportare l’equilibrio psicofisico. Questo arbusto sempreverde e rampicante, originario delle aree umide dell’Africa occidentale, è infatti ricco in 5-idrossitriptofano (5-HTP), il precursore diretto della serotonina, antagonista del cortisolo in grado di agire sul sistema nervoso centrale, regolando umore, sonno e appetito.

Per queste sue proprietà la fitoterapia occidentale si è interessata alla Griffonia simplicifolia (DC.) Baill. fin dagli anni Settanta del Novecento, e ancora nel 2011 uno studio in vivo pubblicato su Phytomedicine ha dimostrato l'effetto ansiolitico dell'estratto di semi di Griffonia sui ratti, suggerendo un potenziale beneficio anche nell’uomo per il trattamento dell'ansia.

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