Nomenclatura scientifica delle piante: origine ed importanza

Nomenclatura scientifica delle piante: origine ed importanza

La nomenclatura botanica è la “lingua franca” con cui sono identificate in modo univoco le piante in tutto il mondo. In pratica è la loro denominazione formale e scientifica, stabilita al termine del processo di classificazione tassonomica. Consente infatti di identificare una pianta, indipendentemente dai nomi vernacolari, che cambiano da una lingua all’altra o addirittura da una regione a un’altra all’interno di uno stesso Paese. Oggi le regole della nomenclatura botanica vengono stabilite dall’International Code of Nomenclature for algae, fungi, and plants (ICN or ICNafp): l’ultima versione è entrata in vigore nel 2018.

La nomenclatura botanica, per come la conosciamo, nasce sostanzialmente con Linneo nel 1753, ma per capire fino in fondo l’importanza del nome scientifico delle piante, c’è una lunga ed articolata storia da raccontare.

Da Teofrasto al Medioevo

Già dall’antichità venivano attribuiti dei nomi a quelle che oggi considereremmo delle specie, in virtù di loro caratteri e usi specifici, da quello alimentare a quello ornamentale o funzionale. È però il filosofo greco Teofrasto (371-287 a.C.) il primo a cercare di descrivere, raggruppare e differenziare tra loro le piante, sulla scorta degli insegnamenti del suo grande maestro Aristotele. In tal modo riconobbe l’esigenza di una classificazione del mondo vegetale, ragione per la quale è ricordato come il padre della botanica e della tassonomia. La sua opera “Historia Plantarum” fu tradotta in persiano e in arabo nel Medioevo, ma rimase pressoché sconosciuta fino al XV secolo in Europa, dove avevano goduto di maggior fortuna laNaturalis Historia” di Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) e ilDe Materia Medica” di Dioscoride (~ 40-90 d.C.).

Il Rinascimento

Il Rinascimento rappresentò un periodo di rinascita per la scienza in generale e per la botanica in particolare; presso le università nacquero i primi orti botanici (Pisa nel 1544, Padova e Firenze l’anno successivo), eredi degli horti sanitatis dei monasteri medievali. Inoltre, gli Europei stavano esplorando nuovi continenti, riportandone molte piante sconosciute, che vennero acclimatate nei giardini italiani e non solo; l’invenzione della stampa (1450-1455) rese più facile la circolazione delle informazioni e delle idee, contribuendo al progresso delle conoscenze scientifiche.

Fu l’italiano Andrea Cesalpino (1524-1603), pur partendo dai dettami aristotelici, a proporre nel suo “De Plantis Libri XVI” (1583) una classificazione delle piante più razionale e al tempo stesso innovativa, basata sulla morfologia di fiori e frutti, sostituendo così l’ordine alfabetico precedentemente in uso per organizzare gli erbari.

Linneo e la nascita del sistema binomiale

La svolta arrivò finalmente nella prima metà del XVIII secolo, quando il botanico svedese Carl von Linné propose un chiaro sistema di classificazione delle piante basato sul numero di stami e stigmi dei fiori, che permetteva di identificare una pianta mediante genere e specie, al posto del complicato sistema descrittivo utilizzato fino a quel momento.

Questo sistema semplice e razionale, descritto nella sua famosa opera “Species Plantarum” (1753), diede inizio alla nomenclatura binomiale che usiamo ancora oggi, composta dal nome del genere a cui appartiene la specie e da un epiteto che distingue quella specie dalle altre appartenenti allo stesso genere.

Il pensiero evolutivo nella teoria della classificazione

All’inizio del XIX secolo, i tassonomisti non erano più interessati solo a descrivere, classificare e denominare gli organismi, ma anche a spiegare l’origine della diversità osservata.

Quando Charles Darwin (1809-1882) pubblicò “L’Origine delle Specie (1859) introdusse anche in botanica quel concetto chiave di discendenza con modificazione che è ancora oggi generalmente accettato con il termine di filogenesi. Ciò significa che i caratteri utili alla tassonomia, e di conseguenza alla nomenclatura botanica, sono quelli ereditati da un antenato comune.

Nacque così una nuova era nella classificazione della natura, che riflette la storia evolutiva della vita.

La scoperta del DNA da parte di James Watson e Francis Crick (1953) ha notevolmente migliorato la comprensione dei processi evolutivi e, al passaggio nel XXI secolo, i dati molecolari, insieme a sempre più potenti algoritmi di calcolo, consentono una più raffinata delimitazione di ordini e famiglie delle piante, permettendo la loro corretta classificazione e rendendo più precisa la nomenclatura botanica.

L’importanza della nomenclatura botanica

Ci sono voluti oltre venti secoli per arrivare all’attuale sistema di nomenclatura binomiale, che consente agli scienziati di classificare gli organismi in modo univoco in base a caratteristiche riconosciute. Una nomenclatura che permette alle persone di tutto il mondo di riferirsi a una specifica pianta in modo chiaro e conciso, evitando la confusione data dai nomi comuni che invece riflettono la cultura e la lingua dei diversi popoli.

Per convenzione, si continuano ad adottare i nomi latini, in quanto il Latino, per secoli, è stata la lingua veicolare degli studiosi; il nome generico porta sempre l’iniziale maiuscola, mentre la specie viene scritta in minuscolo; entrambi i nomi vanno inoltre indicati in corsivo. Il binomio è seguito dal nome dell’autore, normalmente abbreviato.

Tuttavia, bisogna sempre tener presente che, grazie al progresso scientifico e tecnologico, la nomenclatura delle piante non è un codice immutabile: può capitare che a seguito di un cambiamento nella classificazione, si debba aggiornare in parte o tutto il nome, per cui una stessa specie può adottare nel tempo anche diversi nomi.

Per mantenersi sempre aggiornati è quindi fondamentale consultare database ufficiali, come ad esempio  WFO Plant List, in cui vengono riportati anche i sinonimi di ciascuna specie.

Un aiuto contro lo stress dall’ estratto di Scutellaria lateriflora L.

Spossatezza, sbalzi d’umore, mal di testa, insonnia, variazioni di peso e altri sintomi comuni dello stress colpiscono sempre più persone in tutto il mondo: secondo uno studio di Assosalute precedente la pandemia, l’85% degli Italiani presentava disturbi legati allo stress; d’altro canto, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha stimato che i disturbi legati all’ansia siano i disturbi mentali più comuni al mondo.

La pandemia di Covid-19, con le sue conseguenze a livello economico e sociale, ha ulteriormente aggravato la situazione.

La risposta del nostro corpo allo stress e il ruolo del cortisolo

È importante comprendere che lo stress di per sé stesso non è negativo, anzi ci aiuta ad affrontare le sfide quotidiane. Quando però è in eccesso può avere serie ripercussioni sulla nostra salute, sia sul corpo che sulla psiche.

Il nostro corpo reagisce agli stimoli stressogeni rilasciando cortisolo dalle ghiandole surrenali. Per questo il cortisolo è noto anche come “l’ormone dello stress”.

La concentrazione del cortisolo nel sangue viene finemente regolata dall’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. L’attivazione di questa cascata serve a consentire la reazione di “attacco o fuga”: il cortisolo attiva infatti il metabolismo, mettendo a disposizione dell’organismo un surplus di glucosio, sopprimendo invece i processi che consumano energia, quali, ad esempio, il sistema immunitario.

Se lo stress perdura nel tempo, l’eccesso di cortisolo può avere effetti dannosi su diverse funzioni, come quella immunitaria, endocrina, cardiovascolare, e a livello del sistema nervoso centrale. Può provocare inoltre disturbi del sonno, con difficoltà nell’addormentarsi o risvegli frequenti, nonché una diminuzione della densità minerale ossea, con rischio di osteoporosi.

Le piante del genere Scutellaria per favorire rilassamento e sonno

Le piante del genere Scutellaria vantano un lungo uso tradizionale nella medicina erboristica per favorire il rilassamento ed il sonno, ma solo la S. lateriflora L. viene riconosciuta per questa finalità dalle linee guida del Ministero della Salute italiano sugli effetti fisiologici dei botanicals utilizzati negli integratori alimentari. Inoltre, la Scutellaria può essere adulterata con delle specie morfologicamente simili, ma epatotossiche del genere Teucrium; in questo caso il DNA barcoding si rivela uno strumento prezioso e sicuro per l’identificazione della corretta specie botanica.

Un nuovo studio su BlueCALM®

Ora un nuovo studio pubblicato a gennaio 2024 sulla rivista scientifica Molecules pone le basi scientifiche per confermare questo utilizzo, dimostrando come un estratto di Scutellaria lateriflora L. caratterizzato chimicamente (BlueCALM®) svolga una significativa azione inibitoria sul rilascio di cortisolo in un modello in vitro. Per maggiori dettagli su questo studio leggi anche la nostra news.

Per saperne di più su BlueCALM®, il nostro estratto secco titolato al 10% in baicalina, da filiera italiana (lombarda e trentina), identificato mediante DNA barcoding, scarica la nostra brochure.

Scutellaria lateriflora L.: un estratto idroalcolico, caratterizzato chimicamente, come possibile ingrediente nutraceutico nello stress correlato al rilascio del cortisolo

Un nuovo studio in vitro pubblicato a gennaio 2024 sulla rivista scientifica Molecules mostra per la prima volta come un estratto di Scutellaria lateriflora L. caratterizzato chimicamente (BlueCALM®) possa essere un candidato ideale come ingrediente nutraceutico per il rilassamento ed il sonno, grazie alla sua significativa azione inibitoria sul rilascio di cortisolo, il cosiddetto “ormone dello stress”.

Lo studio ha impiegato un modello in vitro in cui cellule di carcinoma surrenalico umano vengono pretrattate con forskolina, una molecola che stimola la produzione di cortisolo; a queste cellule viene poi aggiunto l’estratto in esame e si misurano gli effetti inibitori. L’inibizione indotta da BlueCALM® è risultata significativa, con una diminuzione compresa tra 58 e 91%.

Nel corso dello studio è stata simulata anche la digestione dell’estratto, in modo da trarre indicazioni circa la forma farmaceutica da utilizzare in futuri esperimenti in vivo, e sono stati eseguiti studi di biodisponibilità su due modelli diversi, per valutare l’assorbimento di queste macromolecole attraverso i sistemi-membrana.

I risultati incoraggianti suggeriscono possibili applicazioni di BlueCALM® come ingrediente da impiegare in integratori alimentari per aiutare a combattere lo stress eccessivo e le conseguenze indotte da livelli elevati di cortisolo, quali insonnia, disturbi endocrini ed immunitari e osteoporosi.

Per saperne di più su BlueCALM®, il nostro estratto secco titolato al 10% in baicalina, da filiera italiana (lombarda e trentina), identificato mediante DNA barcoding per escludere adulterazioni con piante epatotossiche del genere Teucrium, scarica la nostra brochure.

Piante adattogene: un aiuto per l’omeostasi psico-fisica

Il freddo e la riduzione delle ore di luce tipici dell’inverno sono fattori di stress che agiscono sul nostro organismo dall’esterno. Squilibri alimentari e del sonno, ansia, stanchezza agiscono invece dall’interno. Sono solo degli esempi di condizioni in grado disturbare la capacità di autoregolazione del nostro corpo, che tenderebbe naturalmente a una condizione di stabilità.

Quando infatti l’omeostasi viene messa in crisi da squilibri di varia origine, il nostro corpo mette in atto una serie di meccanismi di difesa riparatori che producono modificazioni biologiche, ormonali, neurovegetative e immunitarie.

Tuttavia, questa reazione comporta l’impiego di energie supplementari e non sempre la nostra capacità di resilienza ci consente di rispondere adeguatamente ai numerosi agenti stressogeni. Se ciò accade, è facile cadere in uno stato di affaticamento fisico e mentale.

Quando si accende questa spia di riserva, un aiuto ci può giungere allora dalla natura tramite le piante adattogene, in grado di contrastare i fattori di stress, facilitare l’adattamento, migliorare le performance e riportare l’organismo in condizioni di equilibrio psico-fisico.

Piante adattogene: una risposta dalla natura agli squilibri psico-fisici

 

Quello di piante adattogene (dal latino “adaptare”, cioè adattare) è un concetto coniato nel secondo Dopoguerra dal farmacologo russo Nicolai Lazarev, basandosi su precedenti studi compiuti in particolare sulla schisandra (Schisandra chinensis Baill.), o Wu We Zi (“bacca dei 5 sapori”). La pianta vantava infatti un lunghissimo uso tradizionale presso i cacciatori della Siberia e del Nord della Cina come stimolante naturale, in grado di ridurre la fatica e la fame. Va detto però che un’idea analoga esisteva da tempo immemore sia nella medicina cinese (i cosiddetti tonici del “qi”) che nell’Ayurveda (i rimedi “rasayana”)

Sulla scorta dello studio pubblicato sull’Annual Review of Pharmacology da Brekhman e Dardymov nel 1969 e degli studi successivi si definiscono oggi “adattogene” quelle piante medicinali e i relativi estratti che consentono all’organismo umano di adattarsi con una risposta non specifica a fattori di stress di qualsivoglia natura mediante un effetto multitarget sul sistema neuroendocrino ed immunitario, che innesca un’azione normalizzante.

Una definizione debitrice alla medicina olistica, che considera il paziente innanzitutto una persona, composta di corpo, mente e spirito; all’interno di questo perimetro la comunità scientifica sta cercando di identificare i meccanismi molecolari chiave comuni tra più di 70 piante con una evidente azione adattogena.

Un’altra caratteristica delle piante adattogene è la loro sicurezza d’impiego, testimoniata dal loro uso millenario; a tal proposito meritano sicuramente una posizione di rilievo il Ginseng, l’Ashwagandha e la Maca, 3 piante provenienti da 3 diverse aree del Pianeta, tuttavia con usi simili riconosciuti dalla medicina tradizionale fin dall’antichità.

Ginseng

 

Il Ginseng è probabilmente la più antica pianta adattogena conosciuta dall’uomo. Nota da circa 7000 anni, è citata tra le piante più nobili con proprietà stimolanti nel Shennong Bencao Jing, una sorta di farmacopea cinese scritta oltre duemila anni fa. Se ginseng in cinese significa “pianta dell’uomo” per il suo aspetto antropomorfico, il termine Panax, che identifica il genere di 11 specie di piante appartenenti alla famiglia delle Araliaceae, deriva dal greco antico con significato simile a quello latino di panacea, cioè “rimedio a tutti i mali”.

Numerosi studi hanno dimostrato come l’effetto adattogeno della radice di Ginseng dipenda principalmente dai ginsenosidi, delle saponine triterpeniche con un’azione corticosteroidea. Per approfondire il meccanismo d’azione del ginseng puoi leggere anche il nostro articolo sui botanicals con proprietà adattogene: evidenze scientifiche. Se invece vuoi scoprire come si differenzia l’estratto di radice di Ginseng da quello delle foglie, scarica la nostra brochure.

Ashwagandha

 

L’Ashwagandha o Withania somnifera L. Dunal. (WS), è un piccolo arbusto appartenente alle Solanaceae (la stessa famiglia del pomodoro o delle patate), tipico delle regioni aride del subcontinente indiano; è nota anche come “ginseng indiano”, per il ruolo importantissimo che la pianta ricopre da sempre nella medicina indiana (Ayurveda), analogo a quello che il Panax ginseng occupa in quella cinese, cioè di “rasayana”, prescritta in casi di convalescenza, debilitazione, in geriatria e per migliorare le prestazioni intellettuali, in particolare la memoria.

L’effetto adattogeno dell’Ashwagandha viene ascritto ai witanolidi, dei lattoni steroidei che svolgono una potente azione antiossidante a livello del tessuto neuronale.

Maca 

 

Anche la Maca (Lepidium meyenii Walp.), una pianta della famiglia delle Brassicaceae nota gergalmente come ginseng delle Ande o ginseng peruviano, è considerata tradizionalmente una pianta medicinale con funzioni adattogene e di miglioramento della fertilità, come osservato fin dal XVII secolo da alcuni esploratori europei.

La Maca è una pianta molto ricca di principi nutrizionali e rappresenta un’importante risorsa nell’alimentazione delle popolazioni andine; contiene anche delle molecole, le macamidi, che sono considerate responsabili della sua attività.

Secondo una recente revisione sistematica (Cherie Bower-Cargill, Niousha Yarandi, 2022) condotta su un totale di 57 studi (14 clinici e 43 preclinici), questa pianta è risultata efficace nel trattamento di numerose condizioni oltre alle disfunzioni sessuali e ai sintomi della menopausa.

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Possibile ruolo di un blend a base di estratti vegetali di Cistus incanus L. e Castanea sativa Mill. nel malessere gastrico da H. pylori

Un nuovo studio in vitro pubblicato sulla rivista scientifica Foods a Dicembre 2023 evidenzia come la combinazione di Cistus x incanus L. e Castanea sativa Mill. (Gastalagin®) possa essere un candidato ideale per contrastare il malessere gastrico dovuto a H. pylori, un batterio che, secondo le fonti di letteratura, sarebbe presente nel 50% della popolazione umana.

Le piante del genere Cistus sono state tradizionalmente utilizzate nell’area mediterranea per curare patologie infiammatorie e infettive, comprese le affezioni gastrointestinali. Le parti aeree delle Cistaceae, tra cui il Cistus x incanus L., sono infatti ricche di polifenoli come tannini condensati e idrolizzabili, procianidine e flavonoidi, che hanno dimostrato proprietà anti-infiammatorie, antibatteriche e anti adesive, con azione gastroprotettiva.

Da un precedente studio pubblicato a Marzo 2023 sulla rivista scientifica Nutrients era inoltre emerso come due ellagitannini contenuti nelle foglie di castagno avrebbero un ruolo importante nell’interazione tra H. pylori ed epitelio gastrico umano, con dimostrate proprietà antinfiammatorie attraverso l’inibizione del fattore trascrizionale NF-kB, primariamente coinvolto nella risposta all’infezione.

Il razionale del blend nasce quindi dall’osservazione che l’attività biologica del castagno e di Cistus x incanus L. non sono esattamente sovrapponibili, in quanto la componente antibatterica prevale in Cistus x incanus L. e quella antinfiammatoria nel castagno.

Lo studio, condotto dal Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari “Rodolfo Paoletti” dell’Università degli Studi di Milano, è la prima dimostrazione dell’attività sinergica dei due estratti in vitro contro l’infezione da H. pylori.

Per saperne di più su Gastalagin®, il nuovo estratto brevettato EPO, blend di Castanea sativa Mill. e Cistus x incanus L., standardizzato in castalagina e vescalagina, con attività antinfiammatoria sulla mucosa gastrica e azione antibatterica specifica su Helicobacter pylori, leggi il nostro articolo sui botanicals per i disturbi digestivi e l’infezione da Helicobacter pylori.

Buone feste da EPO

Il team EPO vi augura buone feste e felice anno nuovo!

I nostri uffici saranno chiusi dal 23 dicembre al 7 gennaio compresi. Tutte le richieste ricevute durante questo periodo saranno prese in carico appena torniamo operativi.

Nel frattempo, per le urgenze potete contattarci scrivendoci all’indirizzo epo@eposrl.com

Residui di nicotina nelle spezie: EFSA ha appena concluso la valutazione del rischio

La nicotina è il principale alcaloide del tabacco e i suoi effetti nocivi sull’organismo dei fumatori, oltre a dipendenza e assuefazione, sono ormai noti. Non tutti sanno però che la nicotina, oltre che nel tabacco, si trova in modo naturale e in basse concentrazioni anche in altre piante della famiglia delle Solanacee – come il pomodoro, la patata, la melanzana ed il peperone – dove svolge una attività di difesa contro parassiti ed erbivori. Per questo motivo, in passato, è stata usata nei prodotti fitosanitari o insetticidi e può essere tuttora rinvenuta come sostanza indesiderata nelle spezie, con possibili rischi per la salute dei consumatori.

In questo articolo vedremo a quali risultati è pervenuta EFSA a seguito dell’ultima valutazione del rischio eseguita nel 2023 e pubblicata di recente.

Gli effetti biologici della nicotina

La nicotina è una neurotossina che agisce come agonista per i recettori dell’acetilcolina; nei mammiferi, in basse concentrazioni, ha un effetto euforizzante, mentre negli insetti è molto tossica; nonostante il suo uso come insetticida sia stato proibito in Europa fin dal 2009, purtroppo è ancora usata come rimedio casalingo per combattere i parassiti del giardino, a causa di una scorretta informazione veicolata anche dal web, nonché in Paesi Terzi.

La valutazione EFSA sui rischi della nicotina per la salute dei consumatori

L’uso della nicotina come insetticida era stato valutato nell’ambito della Direttiva 91/414/CEE del 15/07/1991, relativa all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari. Nel 2009, tuttavia, non potendo dimostrare un uso sicuro della nicotina come prodotto fitosanitario, la Commissione Europea decretò che tutti i prodotti fitosanitari contenenti nicotina come sostanza attiva dovevano essere ritirati dal mercato entro l’8 giugno dello stesso anno. All’epoca però non vennero fissati dei Livelli Massimi di Residui (LMR) specifici per la nicotina; perciò, a tutti i prodotti venne applicato un LMR predefinito di 0.01 mg/kg. Negli anni i limiti sono stati variati e differenziati  (vedasi Reg. 2011/812 della Commissione), fino ai nuovi regolamenti emessi nel corso del 2023, e cioè il Reg. UE 2023/377 della Commissione del 15/02/2023 (riguardante varie categorie di alimenti, tra cui erbe fresche, fiori commestibili, infusioni di erbe, tè e spezie) e Reg. UE 2023/1536 della Commissione, del 25/07/2023 (tè, rosa canina e spezie) che hanno modificato i limiti della nicotina nelle relative classi di alimenti.

Tuttavia, dai dati di monitoraggio presentati alla Commissione Europea dagli operatori alimentari del settore e da Paesi Terzi, è emerso che con i nuovi limiti molte spezie risulterebbero “fuorilegge”, proponendo perciò come limite per le spezie 0.3 mg/kg. A questo punto, la Commissione Europea ha richiesto ad EFSA di effettuare una ulteriore valutazione del rischio in seguito ad esposizione sia acuta, che cronica. Il risultato cui è pervenuta EFSA è che effettivamente il limite di 0.3 mg/kg non rappresenterebbe un rischio per la salute del consumatore, posizione poi adottata dallo SCoPAFF (Comitato permanente per le piante, gli animali, gli alimenti e i mangimi), proponendo un limite temporaneo di 0.3 mg/kg, da rivedere entro il 22 febbraio del 2030 alla luce delle nuove informazioni che giungeranno alla Commissione Europea.

I limiti attualmente in vigore, per il momento, restano quelli del Reg. UE 2023/1536 della Commissione, mentre l’attuale limite per la categoria “0630000 Infusioni di erbe”, a cui si riferiscono principalmente i nostri prodotti, è di 0.3 mg/kg.

Nicotina: le misure di EPO

In quanto azienda produttrice di estratti botanici, EPO crede da sempre che la ricerca e gli sforzi per una filiera più controllata e responsabile siano fondamentali per tutelare la salute di tutti, e anche per la nicotina EPO sta già monitorando i propri estratti.

Inoltre, in linea con lo spirito di piena collaborazione che contraddistingue il rapporto dell’azienda con i propri fornitori, EPO sta chiedendo loro informazioni sull’eventuale utilizzo della nicotina come pesticida nelle loro coltivazioni. Dopo la valutazione dei dati raccolti, EPO sarà in grado di emettere una dichiarazione di conformità.

Nell’ottica di attivare un proficuo scambio di informazioni tra le parti coinvolte, EPO è a disposizione di fornitori e clienti per supportarli in caso di dubbi o se fossero necessarie ulteriori informazioni.

Rinforzare le naturali difese dell’organismo e prepararsi alla stagione fredda grazie a una corretta alimentazione e ai botanicals

I cambi di stagione sono i periodi dell’anno in cui più facilmente il nostro sistema immunitario si ritrova vulnerabile. Non c’è una sola causa per tosse, influenza, mal di gola e altre malattie autunnali, ma un insieme di fattori di cui tener conto.

Il freddo e la diminuzione delle ore di luce naturale durante il giorno, che favoriscono una maggior sedentarietà, pur non essendo direttamente responsabili dei malanni di stagione, senza dubbio possono contribuire a indebolire le naturali difese dell’organismo, già chiamato ad affrontare, da ottobre a marzo, altre numerose prove.

Infatti, i ritmi del lavoro e dello studio con il conseguente stress, la permanenza abituale in ambienti chiusi e con poco ricambio d’aria, l’ampia circolazione di malattie infettive sono tutti aspetti che possono renderci più indifesi.

Scopriamo insieme come una alimentazione varia e bilanciata e i botanicals possano essere dei preziosi alleati per affrontare l’autunno e l’inverno.

Il ruolo dell’alimentazione e di un sano stile di vita

Un’alimentazione quotidiana equilibrata e completa, con almeno 5 porzioni al giorno di frutta e verdura di stagione cotte al vapore o crude, cibi integrali, legumi, pesce, può già da sola supportare le difese dell’organismo in modo naturale, ancor più se accompagnata da uno stile di vita che contempla un riposo regolare e adeguato, dell’attività fisica all’aperto, e la limitazione di sostanze che favoriscono i processi infiammatori, come alcol e caffeina.

Infatti, le più recenti ricerche sul supporto immunitario confermano che molteplici micronutrienti specifici, tra cui vitamine A, C, D, E, B6 e B12, acido folico, zinco, ferro, rame e selenio, svolgono sinergicamente un ruolo vitale per il corretto funzionamento del sistema immunitario.

Vitamine e micronutrienti si trovano abbondantemente nella frutta e nella verdura. Ad esempio, la vitamina C abbonda non solo negli agrumi e nei kiwi, ma anche nei vegetali verdi, alcuni dei quali, come i broccoli, tipici della stagione autunnale; la vitamina A si trova nei vegetali giallo-arancioni (ad esempio nelle carote e nella zucca), mentre la vitamina E nella frutta secca, nei cereali e nelle olive. La vitamina D proviene invece principalmente da fonti animali, come pesce, uova e latte.

Per tale ragione l’alimentazione deve essere variata. Tuttavia, quando diventa difficile seguire le regole d’oro di un sano stile di vita e se pensiamo che il nostro sistema immunitario si stia indebolendo, è bene rivolgersi al proprio medico o al nutrizionista, che potrà eventualmente consigliare l’uso di integratori alimentari.

I botanicals possono essere d’aiuto?

Già da prima del Covid-19 esistevano prove circa le potenzialità dei prodotti naturali derivati dalle piante nei confronti di numerose infezioni virali.

Più recentemente alcuni nutraceutici di origine vegetale sono stati studiati come possibili agenti immunomodulanti, spesso con il vantaggio di una maggiore tollerabilità rispetto ai trattamenti farmacologici.

I botanicals, infatti, agiscono solitamente in maniera indiretta sul sistema immunitario tramite le loro proprietà antiossidanti, che consentono alle cellule di innescare l’effetto booster e aumentare i naturali meccanismi di difesa; altre volte possono svolgere un’ulteriore azione antimicrobica e/o antinfiammatoria più specifiche.

Ma quali sono gli estratti vegetali che possono contribuire a migliorare le naturali difese dell’organismo e quali le classi di molecole fitochimiche utili a questo scopo?

Lunghissima è la lista di erbe e spezie che possiedono queste proprietà; ricorderemo, ad esempio, le piante della famiglia delle Lamiaceae (ad es. il timo) per il contenuto in oli essenziali, dotati di attività antimicrobica ed antiossidante, ma anche spezie di uso comune, come zenzero, curcuma, cannella, chiodi di garofano, etc.

I polifenoli di Sambucus nigra L. e Humulus lupulus L., sembrerebbero responsabili delle proprietà citoprotettive di tipo antiossidante e antivirale di immunHopE®: il nostro estratto secco di alta qualità è infatti in grado di produrre un effetto potenziato rispetto ai singoli estratti nella riduzione dei livelli di mRNA di tutte le proteine virali testate.

Anche l’Echinacea purpurea (L.) Moench, che si trova nel nostro EKINact®, è nota per la sua azione sulle naturali difese dell’organismo: oltre a essere ricca in polifenoli che proteggono le cellule dal danno ossidativo, la pianta contiene polisaccaridi dalle riconosciute proprietà immunostimolanti.

Un’altra specie di Echinacea, l’Echinacea Angustifolia DC ha delle proprietà analoghe; entrambe vengono impiegate per prevenire le infezioni delle prime vie respiratorie, come ad esempio il raffreddore.

La Rosa Canina L., i cui frutti, detti cinorrodi, contengono flavonoidi, tannini e carotenoidi, è una fonte naturale di vitamina C, con funzione ricostituente e antiossidante.

Anche le piante adattogene possono giovare, in quanto aiutano l’organismo a reagire a stress endogeni ed esogeni. Un esempio è il Panax Ginseng C. A. Meyer, una pianta cinese in grado di aumentare la risposta umorale e cellulare, grazie all’apporto dei ginsenosidi e dei polisaccaridi.

Infine, l’Eleutherococcus senticosus Maxim, il cosiddetto ginseng siberiano o radice della taiga, grazie alla ricchezza in eleuterosidi e polisaccaridi, migliora la capacità di adattamento ai cambiamenti stagionali, prevenendo le malattie infettive dei periodi freddi.

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Piante medicinali ed aromatiche: coltivazione o raccolta?

Secondo un’analisi di Fortune Business Insights, il mercato globale della medicina erboristica passerà dai 165,66 miliardi di dollari del 2022 ai 347,50 miliardi di dollari entro il 2029. Una crescita senza precedenti, anche in conseguenza della pandemia da Covid-19, quando le persone si sono rivolte alla medicina tradizionale per difendersi dall’infezione.

Tuttavia, già dal 2001 al 2014 il mercato globale delle piante officinali (MAP) era triplicato, grazie alla loro versatilità che ne consente l’impiego in molteplici settori, quali alimenti e mangimi, additivi e integratori alimentari, cosmetici, dispositivi medici e farmaci, biocidi e altro ancora.

Sostenibilità a lungo termine a rischio

Fino ad anni recenti la produzione di botanicals si è basata principalmente sulla raccolta spontanea. Una pratica che non è dannosa di per sé ma che, con la crescente pressione della richiesta commerciale, il sovrasfruttamento, il commercio illegale e i cambiamenti climatici, potrebbe comportare un rischio di estinzione per moltissime specie di piante medicinali, con gravi ripercussioni sui loro habitat e le comunità di riferimento.

Secondo lo studio Medicinal and Aromatic Plants: Trade, Production and Management of Botanical Resources attualmente nel mondo per soddisfare la domanda di MAP viene utilizzata almeno una pianta da fiore su quattro. Per la valutazione sulla sostenibilità dell’uso delle specie selvatiche pubblicata a inizio 2022 dall’Inter-governmental Science Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES) una persona su cinque al mondo fa affidamento su piante, alghe e funghi selvatici per il proprio cibo e reddito. La Lista Rossa dell’IUCN stima che oltre il 20% delle specie vegetali utilizzate a livello globale per scopi medicinali e aromatici sia minacciata di estinzione.

Secondo il database della CITESConvention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora – e altre stime, delle 60.000 specie di piante medicinali e aromatiche raccolte a livello globale, quelle a rischio andrebbero dalle 1280 alle 9.000.

La coltivazione delle MAP: un trend crescente

Di fronte a questo rischio sistemico di insostenibilità a lungo termine, già dagli anni Novanta del secolo scorso le Linee guida sulla conservazione delle piante medicinali promosse da Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) e WWF raccomandavano la transizione dalla raccolta selvatica alla coltivazione.

Una pratica in crescita se nel censimento del 2006 solo l’1% delle specie MAP proveniva da coltivazioni commerciali, e nello studio del 2022 Number of Medicinal and Aromatic Plant Species Under Cultivation Is Showing an Upward Trend Globally sono state riscontrate prove di coltivazione commerciale per 3.227 specie MAP in 162 diversi Paesi.

Piante medicinali ed aromatiche: coltivazione o raccolta?

Tuttavia, nel dibattito circa la sostenibilità a lungo termine dell’industria dei botanicals non tutto è a favore della raccolta o della coltivazione, e ci sono diversi pro e contro da valutare di volta in volta.

Dal punto di vista dell’industria di trasformazione, la coltivazione consente un maggior controllo a ogni livello: dall’intera catena di approvvigionamento alla variabilità chimica, dagli standard di qualità al prezzo e alla continuità di fornitura. D’altra parte, la coltivazione comporta costi superiori a quelli della raccolta o rischi sull’investimento che non sempre gli agricoltori possono sostenere da soli. Inoltre, il ricorso esclusivo alla coltivazione potrebbe dare luogo a fenomeni di monocoltura a detrimento della biodiversità.

La sostenibilità della raccolta in natura può essere parimenti problematica, in particolare per le specie a crescita lenta, con una distribuzione limitata o suscettibili di sovrasfruttamento.

Sostenibilità sociale e culturale

Oltre a ciò, ci sono anche preoccupazioni di sostenibilità sociale e culturale di cui tener conto. Le pratiche di raccolta delle MAP, infatti, garantiscono un reddito vitale a numerose popolazioni rurali marginalizzate e rappresentano un importante elemento dell’economia locale e della medicina tradizionale dei Paesi di origine, che potrebbero subire conseguenze irreparabili dal ricorso massiccio alla monocoltura o dallo spostamento della coltivazione nei paesi di trasformazione.

Che fare?

Questi dubbi e domande coinvolgono tutti gli attori dell’industria dei botanicals verso un commercio  equo che tenga conto di volta in volta della conservazione della biodiversità, dell’uso sostenibile delle risorse, del rispetto delle popolazioni locali e delle loro tradizioni, delle esigenze di qualità dei produttori, delle sostenibilità economica delle imprese e anche delle buone pratiche di agricoltura, tanto nei Paesi fornitori di materie prime quanto in quelli di trasformazione e produzione degli estratti.

Un approccio che EPO fa suo da sempre con responsabilità e garanzia di qualità, sicurezza e sostenibilità dei propri estratti. Da un lato infatti garantiamo l’approvvigionamento dell’intero raccolto sulla base del costo realmente sostenuto a piccoli agricoltori, prevalentemente locali, che investono in piante nuove coltivate in esclusiva per noi; dall’altro, attraverso le università, manteniamo viva la tradizione della raccolta legale di piante spontanee, affinché non si perda un vasto patrimonio culturale e una fonte di sostentamento per alcune economie rurali, nonché di empowerment femminile.

Scopri di più sul nostro Codice etico e gli impegni di EPO per la sostenibilità: www.eposrl.com/codice-etico/

Iperpigmentazione, macchie scure della pelle e rimedi naturali

L’iperpigmentazione è un inestetismo della pelle che si manifesta con macchie scure di dimensioni variabili, causato dalla presenza di una quantità più elevata di melanina, il pigmento della pelle responsabile anche dell’abbronzatura.

Secondo i dati di una ricerca di mercato Ipsos l’iperpigmentazione cutanea colpisce oltre il 54 per cento delle donne fra i 20 e i 60 anni e, in particolare sul viso, è percepito come il terzo fastidio estetico dopo la perdita di tonicità del corpo e del viso.

Iperpigmentazione: le cause

Innanzitutto, è importante conoscere le cause dell’iperpigmentazione per poter adottare le migliori strategie atte ad affrontare questa condizione.

L’esposizione alla luce solare è generalmente la prima causa di iperpigmentazione: i melanociti, infatti, producono melanina per proteggere la pelle dai raggi UV; tuttavia, in alcuni casi, certi tipi di melanociti producono più melanina di altri, provocando la comparsa di macchie più scure. Se la loro comparsa può rappresentare una fonte di fastidio, l’iperpigmentazione dovuta all’esposizione al sole non è considerata una condizione patologica e tende a regredire riducendo l’esposizione. Per questo motivo il problema è maggiormente avvertito nei mesi estivi quando si è soliti lasciare la pelle più scoperta.

Del tutto fisiologica è anche l’iperpigmentazione dovuta all’invecchiamento, una condizione per la quale nella pelle si ha una perdita disomogenea di cellule deputate alla produzione di melanina e un aumento della produzione da parte di quelle rimaste. Da ciò deriva la comparsa di macchie scure in ogni periodo dell’anno e non necessariamente associate all’esposizione solare.

Anche le lentiggini sono una forma di iperpigmentazione, molto comune nelle persone dalla pelle chiara e legata, quindi, a fattori genetici; sono normalmente causate dall’esposizione ai raggi solari e, più raramente, da condizioni patologiche della pelle, come ad es. lo xeroderma pigmentosus.

Un altro tipo di iperpigmentazione è quella provocata da variazioni ormonali, come per esempio durante la gravidanza (il cosiddetto “melasma gravidico”), la menopausa o per l’uso di contraccettivi orali.

Esistono tuttavia anche altre cause di iperpigmentazione non fisiologiche. Alcune possono essere legate ad infiammazioni e lesioni della pelle (quali ad es. acne, ustioni o cicatrici), altre a malattie sistemiche di varia entità e gravità (come il morbo di Addison, una rara malattia della corteccia surrenalica), o trattamenti farmacologici, come nel caso di alcuni antibiotici o alcuni chemioterapici.

In tutti i casi, quando si sta all’aria aperta, è bene utilizzare sempre creme solari, possibilmente non profumate, con un adeguato fattore protettivo, anche nelle giornate nuvolose, e sottoporsi ad un controllo dermatologico con cadenza annuale per escludere la presenza di variazioni patologiche. Esistono però degli estratti vegetali che possono rappresentare un aiuto nel trattamento dell’iperpigmentazione e degli inestetismi ad essa legati.

Iperpigmentazione ed estratti vegetali

La prima regola dovrebbe essere sempre quella di mantenere la pelle sana e ben idratata; a questo scopo possono risultare utili gli estratti di Malva sylvestris L. e di Althaea officinalis L., standardizzati in mucillagini, in quanto queste ultime, trattenendo i liquidi, hanno proprietà idratanti.

Anche gli estratti di camomilla comune (Matricaria chamomilla L.) e di calendula (Calendula officinalis L.) sono consigliabili per le loro proprietà lenitive ed anti-arrossanti, che prevengono condizioni infiammatorie.

L’aloe vera gel (Aloe barbadensis Miller) è probabilmente il più noto e diffuso botanical per la cura della pelle, grazie alle sue proprietà emollienti ed umettanti, conosciute fin dai tempi antichi. In aggiunta a ciò, l’aloe vera contiene aloesina, un principio attivo in grado di inibire l’enzima tirosinasi e, di conseguenza, la sintesi della melanina. Un interessante studio ha dimostrato che l’aloesina potrebbe inibire l’iperpigmentazione causata dai raggi UV.

Anche l’uva ursina (Arctostaphylos uva-ursi L.) contiene un inibitore della tirosinasi, l’arbutina; quest’ultima è un precursore naturale dell’idrochinone, ma è meno irritante e all’azione depigmentante associa anche delle interessanti proprietà antiossidanti.

Il melograno (Punica granatum L.) è un vero scrigno di molecole antiossidanti e la sua frazione polifenolica si è dimostrata efficace nell’iperpigmentazione.

Infine, la curcuma (Curcuma longa L.) è molto usata in Asia non solo come spezia, ma pure per i problemi cutanei, grazie alle sue proprietà anti-infiammatorie ed antiossidanti; la curcumina in essa contenuta è in grado di inibire la tirosinasi, giustificando così il suo impiego tradizionale in maschere facciali per le macchie della pelle.

Visita la sezione dei Nostri Estratti per scaricare il nostro catalogo e i materiali informativi su questi e altri botanicals.

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