Piante medicinali ed aromatiche: coltivazione o raccolta? Secondo un’analisi di Fortune Business Insights, il mercato globale della medicina erboristica passerà dai 165,66 miliardi di dollari del 2022 ai 347,50 miliardi di dollari entro il 2029. Una crescita senza precedenti, anche in conseguenza della pandemia da Covid-19, quando le persone si sono rivolte alla medicina tradizionale per difendersi dall’infezione. Tuttavia, già dal 2001 al 2014 il mercato globale delle piante officinali (MAP) era triplicato, grazie alla loro versatilità che ne consente l’impiego in molteplici settori, quali alimenti e mangimi, additivi e integratori alimentari, cosmetici, dispositivi medici e farmaci, biocidi e altro ancora. Sostenibilità a lungo termine a rischio Fino ad anni recenti la produzione di botanicals si è basata principalmente sulla raccolta spontanea. Una pratica che non è dannosa di per sé ma che, con la crescente pressione della richiesta commerciale, il sovrasfruttamento, il commercio illegale e i cambiamenti climatici, potrebbe comportare un rischio di estinzione per moltissime specie di piante medicinali, con gravi ripercussioni sui loro habitat e le comunità di riferimento. Secondo lo studio Medicinal and Aromatic Plants: Trade, Production and Management of Botanical Resources attualmente nel mondo per soddisfare la domanda di MAP viene utilizzata almeno una pianta da fiore su quattro. Per la valutazione sulla sostenibilità dell’uso delle specie selvatiche pubblicata a inizio 2022 dall’Inter-governmental Science Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES) una persona su cinque al mondo fa affidamento su piante, alghe e funghi selvatici per il proprio cibo e reddito. La Lista Rossa dell’IUCN stima che oltre il 20% delle specie vegetali utilizzate a livello globale per scopi medicinali e aromatici sia minacciata di estinzione. Secondo il database della CITES – Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora – e altre stime, delle 60.000 specie di piante medicinali e aromatiche raccolte a livello globale, quelle a rischio andrebbero dalle 1280 alle 9.000. La coltivazione delle MAP: un trend crescente Di fronte a questo rischio sistemico di insostenibilità a lungo termine, già dagli anni Novanta del secolo scorso le Linee guida sulla conservazione delle piante medicinali promosse da Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) e WWF raccomandavano la transizione dalla raccolta selvatica alla coltivazione. Una pratica in crescita se nel censimento del 2006 solo l’1% delle specie MAP proveniva da coltivazioni commerciali, e nello studio del 2022 Number of Medicinal and Aromatic Plant Species Under Cultivation Is Showing an Upward Trend Globally sono state riscontrate prove di coltivazione commerciale per 3.227 specie MAP in 162 diversi Paesi. Piante medicinali ed aromatiche: coltivazione o raccolta? Tuttavia, nel dibattito circa la sostenibilità a lungo termine dell’industria dei botanicals non tutto è a favore della raccolta o della coltivazione, e ci sono diversi pro e contro da valutare di volta in volta. Dal punto di vista dell’industria di trasformazione, la coltivazione consente un maggior controllo a ogni livello: dall’intera catena di approvvigionamento alla variabilità chimica, dagli standard di qualità al prezzo e alla continuità di fornitura. D’altra parte, la coltivazione comporta costi superiori a quelli della raccolta o rischi sull’investimento che non sempre gli agricoltori possono sostenere da soli. Inoltre, il ricorso esclusivo alla coltivazione potrebbe dare luogo a fenomeni di monocoltura a detrimento della biodiversità. La sostenibilità della raccolta in natura può essere parimenti problematica, in particolare per le specie a crescita lenta, con una distribuzione limitata o suscettibili di sovrasfruttamento. Sostenibilità sociale e culturale Oltre a ciò, ci sono anche preoccupazioni di sostenibilità sociale e culturale di cui tener conto. Le pratiche di raccolta delle MAP, infatti, garantiscono un reddito vitale a numerose popolazioni rurali marginalizzate e rappresentano un importante elemento dell’economia locale e della medicina tradizionale dei Paesi di origine, che potrebbero subire conseguenze irreparabili dal ricorso massiccio alla monocoltura o dallo spostamento della coltivazione nei paesi di trasformazione. Che fare? Questi dubbi e domande coinvolgono tutti gli attori dell’industria dei botanicals verso un commercio equo che tenga conto di volta in volta della conservazione della biodiversità, dell’uso sostenibile delle risorse, del rispetto delle popolazioni locali e delle loro tradizioni, delle esigenze di qualità dei produttori, delle sostenibilità economica delle imprese e anche delle buone pratiche di agricoltura, tanto nei Paesi fornitori di materie prime quanto in quelli di trasformazione e produzione degli estratti. Un approccio che EPO fa suo da sempre con responsabilità e garanzia di qualità, sicurezza e sostenibilità dei propri estratti. Da un lato infatti garantiamo l’approvvigionamento dell’intero raccolto sulla base del costo realmente sostenuto a piccoli agricoltori, prevalentemente locali, che investono in piante nuove coltivate in esclusiva per noi; dall’altro, attraverso le università, manteniamo viva la tradizione della raccolta legale di piante spontanee, affinché non si perda un vasto patrimonio culturale e una fonte di sostentamento per alcune economie rurali, nonché di empowerment femminile. Scopri di più sul nostro Codice etico e gli impegni di EPO per la sostenibilità: www.eposrl.com/codice-etico/
Iperpigmentazione, macchie scure della pelle e rimedi naturali L’iperpigmentazione è un inestetismo della pelle che si manifesta con macchie scure di dimensioni variabili, causato dalla presenza di una quantità più elevata di melanina, il pigmento della pelle responsabile anche dell’abbronzatura. Secondo i dati di una ricerca di mercato Ipsos l’iperpigmentazione cutanea colpisce oltre il 54 per cento delle donne fra i 20 e i 60 anni e, in particolare sul viso, è percepito come il terzo fastidio estetico dopo la perdita di tonicità del corpo e del viso. Iperpigmentazione: le cause Innanzitutto, è importante conoscere le cause dell’iperpigmentazione per poter adottare le migliori strategie atte ad affrontare questa condizione. L’esposizione alla luce solare è generalmente la prima causa di iperpigmentazione: i melanociti, infatti, producono melanina per proteggere la pelle dai raggi UV; tuttavia, in alcuni casi, certi tipi di melanociti producono più melanina di altri, provocando la comparsa di macchie più scure. Se la loro comparsa può rappresentare una fonte di fastidio, l’iperpigmentazione dovuta all’esposizione al sole non è considerata una condizione patologica e tende a regredire riducendo l’esposizione. Per questo motivo il problema è maggiormente avvertito nei mesi estivi quando si è soliti lasciare la pelle più scoperta. Del tutto fisiologica è anche l’iperpigmentazione dovuta all’invecchiamento, una condizione per la quale nella pelle si ha una perdita disomogenea di cellule deputate alla produzione di melanina e un aumento della produzione da parte di quelle rimaste. Da ciò deriva la comparsa di macchie scure in ogni periodo dell’anno e non necessariamente associate all’esposizione solare. Anche le lentiggini sono una forma di iperpigmentazione, molto comune nelle persone dalla pelle chiara e legata, quindi, a fattori genetici; sono normalmente causate dall’esposizione ai raggi solari e, più raramente, da condizioni patologiche della pelle, come ad es. lo xeroderma pigmentosus. Un altro tipo di iperpigmentazione è quella provocata da variazioni ormonali, come per esempio durante la gravidanza (il cosiddetto “melasma gravidico”), la menopausa o per l’uso di contraccettivi orali. Esistono tuttavia anche altre cause di iperpigmentazione non fisiologiche. Alcune possono essere legate ad infiammazioni e lesioni della pelle (quali ad es. acne, ustioni o cicatrici), altre a malattie sistemiche di varia entità e gravità (come il morbo di Addison, una rara malattia della corteccia surrenalica), o trattamenti farmacologici, come nel caso di alcuni antibiotici o alcuni chemioterapici. In tutti i casi, quando si sta all’aria aperta, è bene utilizzare sempre creme solari, possibilmente non profumate, con un adeguato fattore protettivo, anche nelle giornate nuvolose, e sottoporsi ad un controllo dermatologico con cadenza annuale per escludere la presenza di variazioni patologiche. Esistono però degli estratti vegetali che possono rappresentare un aiuto nel trattamento dell’iperpigmentazione e degli inestetismi ad essa legati. Iperpigmentazione ed estratti vegetali La prima regola dovrebbe essere sempre quella di mantenere la pelle sana e ben idratata; a questo scopo possono risultare utili gli estratti di Malva sylvestris L. e di Althaea officinalis L., standardizzati in mucillagini, in quanto queste ultime, trattenendo i liquidi, hanno proprietà idratanti. Anche gli estratti di camomilla comune (Matricaria chamomilla L.) e di calendula (Calendula officinalis L.) sono consigliabili per le loro proprietà lenitive ed anti-arrossanti, che prevengono condizioni infiammatorie. L’aloe vera gel (Aloe barbadensis Miller) è probabilmente il più noto e diffuso botanical per la cura della pelle, grazie alle sue proprietà emollienti ed umettanti, conosciute fin dai tempi antichi. In aggiunta a ciò, l’aloe vera contiene aloesina, un principio attivo in grado di inibire l’enzima tirosinasi e, di conseguenza, la sintesi della melanina. Un interessante studio ha dimostrato che l’aloesina potrebbe inibire l’iperpigmentazione causata dai raggi UV. Anche l’uva ursina (Arctostaphylos uva-ursi L.) contiene un inibitore della tirosinasi, l’arbutina; quest’ultima è un precursore naturale dell’idrochinone, ma è meno irritante e all’azione depigmentante associa anche delle interessanti proprietà antiossidanti. Il melograno (Punica granatum L.) è un vero scrigno di molecole antiossidanti e la sua frazione polifenolica si è dimostrata efficace nell’iperpigmentazione. Infine, la curcuma (Curcuma longa L.) è molto usata in Asia non solo come spezia, ma pure per i problemi cutanei, grazie alle sue proprietà anti-infiammatorie ed antiossidanti; la curcumina in essa contenuta è in grado di inibire la tirosinasi, giustificando così il suo impiego tradizionale in maschere facciali per le macchie della pelle. Visita la sezione dei Nostri Estratti per scaricare il nostro catalogo e i materiali informativi su questi e altri botanicals.
Buone vacanze da EPO Ci prendiamo una pausa per ricaricare le batterie e tornare più energici di prima. I nostri uffici resteranno chiusi dal 7 al 18 agosto compresi. Nel frattempo, potete contattarci all’indirizzo epo@eposrl.com per qualsiasi richiesta urgente. Auguriamo a tutti buone e rilassanti vacanze!
Estratti vegetali e sudorazione: un aiuto dalla natura per la regolazione di una funzione vitale La sudorazione è un meccanismo fisiologico tramite il quale il nostro organismo emette un liquido prodotto dalle ghiandole sudoripare al fine di controllare la temperatura corporea e svolgere altre funzioni, quali l’escrezione di sostanze “di scarto” o la comunicazione non verbale. Tuttavia, se è normale sudare un po’ di più del solito quando fa caldo, ed è normale sudare molto di più del solito quando si pratica un’attività fisica intensa, ci sono situazioni in cui una sudorazione anomala può essere la spia di qualche alterazione psicofisica. Iperidrosi, o eccesso di sudorazione In una situazione normale il nostro corpo secerne almeno mezzo litro di sudore al giorno. A parità di condizioni, quando invece si producono quantità molto superiori si parla di iperidrosi, che può essere generalizzata o localizzata, come nei tipici casi di sudorazione eccessiva al palmo delle mani, alle ascelle, ai piedi o sul viso. Sono tutte situazioni che possono creare imbarazzo, disagio sociale o limitazione di attività quotidiane, ma anche malessere o peggioramento della qualità della vita. L’iperidrosi può essere definita come primaria, quando non si riscontrano cause apparenti, o secondaria, quando invece viene diagnosticata una causa psicofisica. Nel primo caso si ritiene che la sudorazione eccessiva dipenda dal sistema nervoso simpatico che invia falsi segnali alle ghiandole responsabili della sudorazione, anche quando il corpo non richiede una termoregolazione. Nel secondo caso ci possono essere diverse cause accertate: malattie o infezioni (ipertiroidismo, tubercolosi, HIV, malattie delle cellule del sangue o del midollo osseo, tumori), cattive abitudini o dipendenze (alcol e droghe), condizioni fisiche (obesità), uso di alcuni farmaci o condizioni fisiologiche momentanee della vita, come la menopausa. Ipoidrosi e anidrosi, o sudorazione diminuita Esiste anche il fenomeno inverso, cioè una diminuzione della sudorazione, un disturbo che può manifestarsi come riduzione (ipoidrosi) o assenza (anidrosi) di sudorazione, spesso accompagnata da secchezza della pelle nell’area interessata. Anche in questo caso le cause possono essere diverse (uso di farmaci, traumi o patologie) e comportare conseguenze che impattano sulla qualità della vita, come debolezza, vertigini, crampi muscolari, sensazione di eccessivo calore e arrossamento della cute. In entrambi i casi siamo di fronte a delle situazioni che richiedono l’intervento di un medico; esistono tuttavia dei botanicals che possono favorire i processi di regolazione della sudorazione e i disturbi ad essi collegati. Vediamo allora quali piante sono state tradizionalmente impiegate a questo scopo. Botanicals e regolarizzazione della sudorazione Sono numerose le piante il cui fitocomplesso può aiutare a regolarizzare il processo di sudorazione. È sapienza antica che le tisane o i decotti preparati con foglie di salvia, sorseggiati o usati come pediluvio, hanno proprietà astringenti e riducono la produzione di sudore. La Salvia officinalis L. favorisce la regolarità del processo di sudorazione e contrasta i disturbi della menopausa, come confermato da molti studi scientifici. Si ritiene infatti che i fitoestrogeni contenuti nella Salvia possano aiutare a contrastare i sintomi vasomotori, quali vampate di calore e sudorazione notturna. Il tè di lapacho, fatto con la corteccia dell’albero tabebuia (Tabebuia avellanedae Lorentz ex Griseb), è stato usato per millenni dalle popolazioni indigene del Sudamerica, che lo ritenevano una vera panacea. Questa pianta favorisce le funzioni depurative dell’organismo e aiuta a regolare l’eccesso di sudorazione. I capolini della camomilla volgare (Matricaria chamomilla L.) sono tradizionalmente impiegate per favorire la regolarità del processo di sudorazione e svolgono anche un’azione lenitiva ed emolliente per la pelle, anche nei casi di irritazione dovuta ad eccesso di sudorazione conosciuta gergalmente come “sudamina”, che colpisce soprattutto i bambini nei mesi estivi. Infatti, secondo una review condotta dal College of Pharmacy, Shandong University of Traditional Chinese Medicine recentemente pubblicata su Molecules, i suoi costituenti chimici possiedono, tra le altre, proprietà antinfettive e antinfiammatorie. Infine, i fiori di sambuco (Sambucus nigra L.) e le parti aeree fiorite dell’Ulmaria (Filipendula ulmaria L.), o Regina dei prati, contengono invece sostanze fitochimiche dall’azione diaforetica, in grado migliorare ipoidrosi e anidrosi. Riassumendo, i disturbi legati alla sudorazione, in eccesso o in difetto, possono essere contingenti e fisiologici. Ma quando diventano un impedimento alle normali attività quotidiane o hanno ripercussioni sulla qualità della vita devono subito far scattare il campanello d’allarme di uno stato di salute psicofisica alterata. Dopo la valutazione del medico di base ed eventualmente di uno specialista in dermatologia, gli estratti vegetali possono rappresentare una valida ed efficace alternativa per rimettere il benessere al centro della propria vita. Per saperne di più sui nostri estratti visita la sezione dedicata sul nostro sito www.eposrl.com/i-nostri-prodotti/
Piante tintorie: una tradizione secolare tornata in auge come soluzione sostenibile Perché l’uomo, fin dalla preistoria, ha cercato di circondarsi di colore? Dove ha trovato in natura il materiale per far fronte ad un’esigenza tanto radicata nel proprio animo? L’arte di ricavare colori da risorse naturali ha radici che affondano negli albori dell’umanità, ma con l’avvento dei coloranti sintetici – più economici e versatili – le conoscenze legate a questa pratica hanno rischiato di perdersi. Continua a leggere per scoprire la storia dei coloranti naturali e le piante più utilizzate! Piante tintorie: una storia millenaria La tintura e la pittura con pigmenti naturali risalgono alle origini dell’umanità; da sempre gli uomini hanno attinto le materie prime necessarie da una grande varietà di piante, oltre che dal regno animale (ad esempio, molluschi ed insetti) e dai minerali. Per millenni la produzione di coloranti naturali è andata diffondendosi grazie al loro utilizzo a scopo rituale, decorativo, cosmetico ed alimentare. Fin dalla preistoria, i diversi colori hanno assunto numerosi significati simbolici, religiosi, estetici e sociali; pitture rupestri risalenti a quell’era lontana sono state rinvenute praticamente in tutti i continenti; la psicologia ci insegna infatti che i colori stimolano la mente umana suscitando emozioni. In epoca storica, le piante tintorie hanno avuto un’enorme importanza per lo sviluppo dell’economia e della tecnica, nonché negli scambi culturali. Alcune di esse sono state coltivate e commercializzate fin da epoche remote, diventando importanti fattori di crescita economica e influenzando in modo significativo lo sviluppo di intere aree per molti secoli. Per esempio, dalle foglie di guado (Isatis tinctoria L.), già noto ai Romani e diffuso in tutta l’Italia del Centro-Nord, si otteneva un pigmento blu, molto ricercato sia come colorante pittorico che per la tintura dei tessuti. Questo più tardi divenne infatti il colore della tela “blu di Genova”, o “blue jeans”, usata comunemente per confezionare vestiti da lavoro, come testimoniato anche da un anonimo pittore lombardo del XVII sec., il “Maestro della Tela Jeans”. Tuttavia, a partire più o meno dalla stessa epoca, il guado fu a poco a poco soppiantato dall’indaco asiatico (ottenuto dalla Indigofera tinctoria L.), assai più economico, con grave danno per molte economie locali. Il collasso del mercato dei coloranti di origine naturale si ebbe però all’inizio del Novecento, a causa della diffusione dei coloranti sintetici, caratterizzati da una maggiore economicità e stabilità; tuttavia, in tempi recenti si è assistito ad una riscoperta dei coloranti di origine naturale. Piante tintorie: come vengono utilizzate? La tintura vegetale è un processo che prevede, in un primo momento, l’estrazione del pigmento dalla pianta e, successivamente, l’applicazione di quest’ultimo su un supporto come carta, tessuto, legno, argilla o cuoio; i metodi di estrazione dipendono dalla parte di pianta impiegata. I pigmenti vengono estratti dalla maggior parte delle piante attraverso macerazione e decozione in acqua; la tonalità dei colori ottenuti dipende dalla singola specie, come vedremo dall’elenco delle principali piante tintorie. Quasi tutti i coloranti vegetali richiedono un adeguato trattamento del supporto, per consentire loro di penetrarvi e aderire in modo stabile. Quali sono i vantaggi dell’utilizzo delle piante tintorie? Con l’avvento dei coloranti sintetici la pratica della tintura naturale si è sempre più limitata a contesti specifici, come l’artigianato artistico e tessile. Negli ultimi anni, però, si è notato un crescente interesse per le piante tintorie e i coloranti vegetali. Ciò si deve da una parte ad una maggiore sensibilità del pubblico verso tutto ciò che è naturale e dall’altra ad una preoccupazione per la salute umana e per l’ambiente, legata principalmente all’inquinamento causato dai coloranti sintetici e dai processi industriali in cui essi trovano impiego, specialmente nel settore tessile. Al contrario, i coloranti di origine naturale offrono una maggiore sicurezza di impiego, oltre a possedere proprietà funzionali che possono essere conferite al supporto, quali proprietà antiossidanti, antimicrobiche e di protezione dai raggi UV. È risaputo, infatti, che i botanicals possono essere utilizzati anche come materie prime “green” nell’industria e nel restauro di opere d’arte. Per approfondire leggi il nostro articolo. Piante tintorie: le più conosciute e utilizzate Sono oltre mille le specie botaniche classificate come piante tintorie, di cui le più famose sono: Alcanna, Alkanna tinctoria (L.) Tausch, un arbusto sempreverde dalle cui radici si ricava una sostanza colorante rossa, l’alcannina (un naftochinone); Robbia, Rubia tinctorum L., dalle cui radici si ricava il “rosso di garanza” o “rosso di alizarina”; Cartamo, Carthamus tinctorius L., detto anche zafferanone, dalle cui antere (una parte del fiore) si ricavano dei coloranti (flavonoidi) usati per conferire ai supporti varie tonalità di rosso; Curcuma, Curcuma longa L., la nota spezia usata come colorante giallo-arancione; Zafferano, Crocus sativus L., dai cui preziosissimi stigmi (anche in questo caso una parte del fiore) si ottiene un colorante giallo-arancione a base di carotenoidi; Ginestra minore, Genista tinctoria L., i cui isoflavoni, presenti in tutte le sue parti, danno origine ad un colorante giallo pulcino; Mallo di noce, Juglans regia L. ovvero la polpa che avvolge il frutto della noce, la cui tintura ha toni caratteristici di marrone, dovuti ai tannini, ai flavonoidi e allo juglone; Guado, Isatis tinctoria L., simile a un broccolo, da cui si ricava un pigmento blu (indaco, colorante azotato di tipo indolico); Indaco, Indigofera tinctoria L., arbusto indiano da cui si estrae l’omonimo pigmento. In conclusione, le piante tintorie rappresentano una tradizione preziosa e secolare, che sta vivendo una rinascita in quanto soluzione sostenibile e rispettosa dell’ambiente, per ottenere coloranti naturali sicuri e biodegradabili. Un vantaggio per noi e per il pianeta.
Il nichel negli alimenti: la Commissione Europea intende fissare dei limiti Nel mese di marzo, la Commissione Europea ha avviato una consultazione pubblica al fine di ricevere commenti in relazione ad una sua proposta per introdurre livelli massimi di nichel negli alimenti, non normati dal Regolamento (CE) n. 1881/2006, ora sostituito dal Regolamento (UE) 915/2023, che entra in vigore il 25/05/2023. Già nel 2020, l’EFSA (l’autorità europea per la sicurezza alimentare) aveva espresso la propria preoccupazione per la presenza del nichel negli alimenti e nell’acqua potabile, con potenziali rischi per la salute pubblica. La Commissione Europea ha perciò raccomandato agli Stati Membri di promuovere una raccolta dati sui livelli di nichel presenti negli alimenti, inclusi gli integratori alimentari. Dei limiti per il nichel sono già stati stabiliti per i cosmetici, ma quali sono le conseguenze di un’eccessiva introduzione di nichel attraverso la dieta? Quali gli alimenti interessati? E che misure noi di EPO abbiamo deciso di adottare per i nostri estratti? Nichel: cos’è e dove si trova Il nichel è un metallo pesante piuttosto ubiquitario in natura; d’aspetto simile all’argento viene utilizzato in molte leghe metalliche, ragion per cui si ritrova in molti oggetti di uso comune, quali: Gioielli di bigiotteria e accessori, come occhiali e cinture etc.; Chiavi e monete; Detersivi, saponi e cosmetici; Utensili per la cucina, come pentole e stoviglie. Per tutti quegli oggetti che vengono a diretto contatto con la pelle già il Regolamento (CE) 1907/2006 REACH (Allegato XVII, punto 27) ha introdotto delle restrizioni volte a limitare il rilascio del metallo. Tuttavia il nichel è rintracciabile anche nell’acqua potabile e, in minime quantità, si trova anche negli alimenti, specialmente nel cioccolato, nei semi oleosi, nei cereali, in alcune verdure (come pomodori, spinaci, asparagi, cavoli ed ortaggi affini), in alcuni frutti freschi e in quelli secchi, nelle alghe, nei crostacei e nei frutti di mare. Allergia e intolleranza al nichel: quali sono i rischi per la salute? Come tutte le allergie, anche quella al nichel consiste in una risposta immunitaria eccessiva verso questo metallo. Nei soggetti predisposti, il nichel può infatti provocare una reazione, in genere dopo un’esposizione prolungata o ripetuta a oggetti che lo contengono, caratterizzata da dermatite da contatto, ma anche sintomi sistemici, quali orticaria, eczema e prurito. Per tale ragione la normativa cosmetica in vigore, inserisce il nichel nell’allegato II, cioè tra le sostanze non impiegabili, ma introduce anche il concetto apparentemente contraddittorio di “tecnicamente inevitabile nonostante l’osservanza di buone pratiche di fabbricazione”; pertanto la presenza di nichel in tracce può essere tollerata se il cosmetico è stato valutato sicuro nel suo complesso. L’ Istituto Superiore di Sanità per le formulazioni cosmetiche ha comunque fissato una soglia massima di 10 ppm. Il nichel però è anche un microelemento utilizzato dal nostro organismo come cofattore per diversi enzimi coinvolti in molte vie metaboliche; per un organismo adulto sano il suo fabbisogno giornaliero è di 100 microgrammi, un quantitativo piccolissimo, generalmente soddisfatto dalla dieta; un’assunzione eccessiva di nichel può portare a manifestazioni cutanee, problemi gastrointestinali, gonfiore, mal di testa e vertigini, problemi respiratori e dolori al torace. Le misure adottate da EPO A seguito dell’attenzione rivolta dalla Commissione Europea ai possibili livelli di contaminazione da nichel negli alimenti, EPO ha subito avviato una raccolta dati relativa al contenuto di questo metallo pesante, che continuerà per il triennio 2024-2026. Questa analisi è utile al fine di poter ottenere informazioni su eventuali criticità ed emettere un successivo piano di controllo, nell’ottica di poter soddisfare eventuali futuri requisiti normativi. Sebbene i botanicals non vengano esplicitamente menzionati dalla proposta della Commissione Europea, il limite massimo considerato sarà di 1 ppm. In conclusione, in vista delle future restrizioni proposte dalla Commissione Europea, EPO sta già adottando misure per garantire la sicurezza dei propri prodotti ed effettuerà un monitoraggio triennale delle materie prime vegetali considerate a più alto rischio di contaminazione ambientale. Come sempre, siamo disponibili a supportare i nostri clienti in caso di dubbi o qualora si rendessero necessarie maggiori informazioni sulla nuova proposta (qualityassurance@eposrl.com).
Estratti vegetali di Cistus incanus L. e Scutellaria lateriflora L.: la loro combinazione ha proprietà antimicrobiche e antibiofilm, per la prevenzione delle malattie parodontali Un nuovo studio pubblicato sulla rivista scientifica Foods evidenzia come la combinazione di Cistus incanus L. e Scutellaria lateriflora L. (PLANoràl®) abbia degli effetti promettenti e utili per il trattamento della gengivite e per l’eubiosi del cavo orale. Questi estratti vegetali contengono un mix molto complesso di polifenoli, stabili anche dopo la digestione orale simulata in vitro, e, combinati in una proporzione brevettata, hanno un’attività antimicrobica specifica verso Porphyromonas gingivalis, ovvero uno dei principali patogeni responsabili di parodontiti gravi e croniche. L’associazione sinergica infatti inibisce la crescita batterica e riduce la sua capacità invasiva. Inoltre, PLANoràl® riduce di circa l’80% la formazione del biofilm (placca subgengivale). Per approfondire, scopri qual è la correlazione tra il cavo orale e le malattie sistemiche leggendo l’articolo qui: Bocca sana per un corpo sano: il legame tra salute del cavo orale e malattie sistemiche
Allergie stagionali: come affrontarle con gli estratti vegetali L’arrivo della bella stagione invoglia a trascorrere più tempo all’aperto, ma per chi soffre di allergie stagionali anche una semplice passeggiata al parco può trasformarsi nel peggior incubo. Le allergie sono tra le malattie croniche più diffuse in tutto il mondo; secondo l’Istituto Superiore di Sanità italiano (ISS) la prevalenza delle riniti allergiche è in continuo aumento: in Europa è valutata tra il 10 e il 20%. La convivenza con i sintomi può essere critica, ma esistono alcuni estratti vegetali che possono aiutare ad alleviare i disturbi delle allergie stagionali: scopriamo insieme quali sono. Allergia: tutta colpa dell’istamina Le allergie stagionali sono causate da una reazione eccessiva del sistema immunitario verso sostanze presenti nell’ambiente dette allergeni (quali i pollini, per es.), del tutto innocue per gli individui normali. In caso di inalazione o di contatto diretto, il sistema immunitario rilascia dei mediatori, tra cui l’istamina, un composto azotato che causa la comparsa di sintomi allergici e reazioni infiammatorie. Le allergie stagionali, anche note con il termine un po’ fuorviante di “febbre da fieno”, si manifestano solo in un determinato periodo dell’anno, più frequentemente in primavera, quando cioè sono presenti nell’aria gli allergeni che le scatenano. Normalmente la reazione allergica interessa le mucose del naso (rinite allergica) o degli occhi e delle zone perioculari (congiuntivite allergica), con sintomi tipici quali secrezione nasale, congestione, starnuti, lacrimazione e prurito. Nei casi più seri può esacerbare altre condizioni allergiche preesistenti, come ad esempio l’asma. I cambiamenti climatici e le allergie stagionali In tutta Europa è in atto un aumento delle allergie da pollini che non può essere giustificato solo da cambiamenti nella genetica, nello stato di salute o nello stile di vita della sua popolazione. È noto ormai da tempo che i cambiamenti climatici hanno un impatto negativo sulle allergie stagionali. Proprio un recente studio ha esaminato questo fenomeno. Infatti, i cambiamenti climatici provocano delle modificazioni nei cicli biologici delle piante, con ripercussioni negative sul sistema immunitario dell’uomo. Alcuni esempi sono: l’anticipazione delle fioriture e conseguentemente l’allungamento delle stagioni polliniche, l’aumento della concentrazione di polline dovuto al riscaldamento globale e alla maggiore disponibilità di anidride carbonica, la diffusione di piante allergeniche in regioni che prima erano climaticamente sfavorevoli. È noto, inoltre, che temporali primaverili ed estivi particolarmente frequenti ed intensi causano la rottura dei granuli pollinici, con rilascio di materiale allergenico di piccole dimensioni, che può causare seri problemi respiratori nelle persone predisposte. Rimedi naturali per combattere le allergie stagionali Cosa possiamo fare per non farci trovare impreparati quando alberi e piante cominciano a fiorire? Le strategie per contrastare le allergie sono essenzialmente due: ridurre il contatto con l’allergene (quando è noto e se possibile); ridurre l’ipersensibilità. Solitamente si ricorre all’assunzione di farmaci antistaminici o decongestionanti, ma anche molti botanicals sono stati tradizionalmente utilizzati per dare sollievo alle allergie, in virtù delle loro proprietà antinfiammatorie, decongestionanti, espettoranti, antimicrobiche ed immunomodulanti. È importante ricordare, tuttavia, che gli stessi estratti possono scatenare reazioni allergiche in individui sensibili, pertanto l’impiego di piante ed estratti di piante andrebbe sempre supervisionato da un medico e comunque limitato a manifestazioni moderate. Vediamo quali sono le principali pianti utili nelle allergie stagionali: Foglia di ortica: l’impiego dell’ ortica come pianta medicinale risale addirittura a Dioscoride (I sec. d.C.) ed il suo uso tradizionale come antiallergico nella febbre da fieno, nell’asma e nel prurito cutaneo è ben documentato. Inoltre, favorisce le fisiologiche funzionalità depurative dell’organismo, il drenaggio dei liquidi corporei e la funzionalità delle prime vie respiratorie. Ribes Nigrum (gemmoderivato): il Ribes Nigrum o ribes nero ha un’azione particolare: stimola la corteccia surrenale per la produzione di corticosteroidi ed è efficace contro tutti i tipi di allergie. Viene impiegato per le allergie cutanee e respiratorie ed è indicato soprattutto in caso di riniti allergiche e croniche, asma, bronchiti, laringiti, faringiti, dermatiti e congiuntivite. Quindi utile per il benessere di naso e gola. Fiori di sambuco: il sambuco è un rimedio prezioso per tutti i problemi dell’apparato respiratorio. Ha un effetto antinfiammatorio e decongestionante ed è usato tradizionalmente nella rinite allergica. Ha inoltre un’azione diaforetica, utile negli stati febbrili. Le proprietà immunomodulanti dei fiori e delle bacche sono tuttora oggetto di studio. Radice di altea: l’altea è una classica pianta emolliente, usata tradizionalmente per lenire le mucose infiammate, in particolare quelle delle vie respiratorie. Il suo uso nella tosse è riportato da Teofrasto (IV sec. a. C.) Ricordiamo inoltre altri estratti di piante e di spezie che possono essere utili a questo scopo, come agrimonia, camomilla, echinacea purpurea, erisimo, piantaggine, timo volgare, verbasco e le radici di curcuma, liquirizia e zenzero. Visita l’area download per scaricare il nostro catalogo e i materiali informativi su questi e altri estratti vegetali.
Ellagitannini da Castanea sativa Mill.: gli estratti delle foglie di castagno hanno un’azione antibatterica specifica verso Helicobacter pylori e riducono l’infiammazione in cellule epiteliali gastriche umane Un nuovo studio pubblicato sulla rivista scientifica Nutrients evidenzia che due ellagitannini contenuti nelle foglie di castagno avrebbero un ruolo importante nell’interazione tra H. pylori ed epitelio gastrico umano; queste molecole bioattive hanno dimostrato di avere anche proprietà antinfiammatorie attraverso un’inibizione del fattore trascrizionale NF-kB, che svolge un ruolo chiave nella risposta all’infezione. Ciò consente, per la prima volta, di attribuire un razionale scientifico alla standardizzazione dell’estratto di foglie di castagno in castalagina e vescalagina per il suo impiego come gastroprotettore. Le foglie di castagno vengono usate tradizionalmente per la fluidità delle mucose bronchiali e per favorire la regolarità del tratto intestinale. Esse sono inoltre un sottoprodotto della raccolta delle castagne e lo studio si è svolto in collaborazione con il Consorzio Castanicoltori di Brinzio in un’ottica di economia circolare. Le stesse vengono impiegate per il nostro Gastalagin®, un’associazione sinergica per lenire il malessere allo stomaco causato da Helicobacter pylori. Scarica la brochure dedicata
Nuovo Regolamento UE 2022/1370 per limitare il consumo di ocratossina A Il 5 agosto 2022 la Commissione europea ha emanato il nuovo Regolamento UE 2022/1370 aggiornando così il precedente Regolamento CE n. 1881/2006, ed ha integrato l’elenco dei prodotti alimentari che contribuiscono all’esposizione umana all’ocratossina A. Alla base di questa decisione vi è la preoccupazione per l’assunzione di alimenti, contaminati da questa micotossina, in quantità potenzialmente pericolose per la salute umana. Continua a leggere per scoprire quali sono le conseguenze del Regolamento UE 2022/1370 e le misure che noi di EPO abbiamo deciso di adottare per i nostri estratti. Ocratossina A: cos’è e quali sono i rischi per la salute La presenza dell’ocratossina A (OTA) negli alimenti rappresenta una crescente preoccupazione per la salute pubblica. In questo contesto, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare – EFSA ha recentemente pubblicato un parere scientifico sulla genotossicità e cancerogenicità dell’OTA, dimostrando quanto sia importante monitorare attentamente questa micotossina. Ma da cosa deriva e quali sono i rischi derivanti dalla sua assunzione? L’ocratossina A è prodotta naturalmente da alcune specie di funghi del genere Aspergillus e Penicillium, che possono contaminare i prodotti alimentari come cereali, caffè, uva passa, frutta secca, vino, spezie, erbe e radici (come la liquirizia). Questa micotossina si forma durante l’essiccazione al sole e lo stoccaggio del raccolto. Già nel 2020, l’EFSA aveva pubblicato un parere scientifico sui rischi per la salute pubblica connessi alla presenza negli alimenti di OTA, in quanto erano emersi nuovi dati riguardo alla sua genotossicità, cioè la capacità di danneggiare direttamente il DNA, il materiale genetico delle cellule, oltre agli effetti cancerogeni, soprattutto per il rene, già noti in precedenza. Il panel di esperti ha anche calcolato il cosiddetto margine di esposizione (MOE), cioè uno strumento usato dai valutatori del rischio per analizzare possibili timori per la sicurezza derivanti dalla presenza negli alimenti di sostanze genotossiche e cancerogene. Tali valutazioni sono servite alla Commissione europea per decidere i livelli massimi di OTA ammessi nei prodotti alimentari. Il nuovo regolamento, infatti, sostituisce la voce 2.2 dell’allegato, sezione 2, del regolamento (CE) n. 1881/2006. Si tratta, quindi, di: Introduzione di limiti per prodotti non precedentemente normati, come le erbe essiccate ed alcune radici usate per infusioni o come succedanei del caffè Estensione della sua applicazione nel caso di alcune categorie, come tutta la frutta secca Abbassamento dei limiti di alcuni prodotti, come il caffè, sia tostato che solubile. Come si applica il nuovo Regolamento UE ai botanicals? Il nuovo regolamento UE 2022/1370 è entrato in vigore il 1° gennaio 2023, con l’esclusione dei prodotti legalmente immessi in commercio prima di quella data e fino al termine minimo di conservazione o alla data di scadenza. I prodotti alimentari che ci riguardano da vicino sono la liquirizia, le erbe essiccate e alcuni ingredienti per infusi di erbe, in quanto citati nell’allegato (categorie 2.2.15, 2.2.16 e 2.2.17). Tuttavia, dopo un confronto con le Associazioni di categoria e il Ministero della Salute, sembrerebbe che questo regolamento comunitario non sia strettamente applicabile alle materie prime vegetali e agli estratti prodotti da queste ultime. E’ aperto tuttora un dialogo con le Autorità al fine di chiarire tale posizione. Le misure di EPO alla luce del nuovo Regolamento UE Nonostante ciò, già dalla fine del 2020 EPO ha deciso di applicare un piano di autocontrollo per il monitoraggio dei livelli di OTA nelle erbe essiccate, concentrandosi principalmente su radici, semi e rizomi, cioè le parti delle piante più a rischio di contaminazione. I dati raccolti finora hanno rilevato la presenza di OTA, ma sempre al di sotto dei limiti di legge, inclusi quelli del nuovo regolamento. Si continuerà a testare le erbe ad alto rischio ogni tre anni, così da garantire la loro sicurezza. EPO ha anche rivisto le specifiche tecniche delle proprie materie prime vegetali e richiede ai fornitori di adeguarsi e prestare attenzione ai limiti specificati nella categoria 2.2.16 (erbe essiccate). In conclusione, nonostante le restrizioni introdotte dal nuovo regolamento UE, EPO ha adottato misure per garantire la sicurezza dei propri prodotti e ha attivato un costante monitoraggio delle materie prime vegetali e degli estratti da esse derivati. Restiamo disponibili ad attivare un proficuo scambio di informazioni tra tutte le parti coinvolte e a supportare i nostri clienti in caso di dubbi o qualora si rendessero necessarie maggiori informazioni sul nuovo regolamento (qualityassurance@eposrl.com).